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SEI anni da presidente, dopo 5 al “piano di sopra” della Fondazione Mps, in tutto 11 anni in cui l’istituto senese è salito alle vette del sistema del credito per poi precipitare colpito dalla crisi, dall’onerosa acquisizione di Antonveneta e infine dalla “mina” derivati arrivando sull’orlo della nazionalizzazione. Giuseppe Mussari, costretto ieri a dimettersi dal vertice dell’Abi dopo quasi tre anni di presidenza, a Siena ha costruito la sua ascesa prima come avvocato e poi come banchiere. Ma la sua storia inizia in Calabria.

Nato a Catanzaro, il 20 luglio 1962, arriva a Siena dalla Calabria negli anni dell’università per studiare giurisprudenza. Si avvicina alla politica con il Pci prima, e il Pds poi, per iniziare ad esercitare la carriera di avvocato diventando, nel 1993, presidente della Camera penale senese. Il salto nel mondo della finanza lo compie nel 2001, quando viene nominato presidente della Fondazione.   

IL BANCHIERE CON LO ZAINETTO – Mussari si fa notare da subito per i modi schietti, lontani dal formalismo di certi banchieri (gira spesso con uno zainetto e vestiti casual e sfoggia capelli lunghi) e una propensione al dialogo e ai rapporti trasversali, andando al di là del tradizionale asse del Monte con la sinistra. Negli ultimi anni ad esempio ha sponsorizzato fortemente accordi con i consumatori e con il ministro dell’Economia Tremonti su diversi progetti di ‘sistemà. Un atteggiamento che Mussari mostra sin da quando arriva alla Fondazione, dove inizia a lavorare in quegli anni per far recuperare al Monte un ruolo di primo piano nel mondo del credito mentre stavano nascendo i due giganti Intesa Sanpaolo e Unicredit, ed evitare così la “regionalizzazione”.   Nonostante le smentite fino all’ultimo, Mussari accetta di scendere “al piano di sotto” nel 2006, divenendo presidente della banca. In ballo c’è la trattativa con il Santander per l’acquisizione di Antonveneta, la banca contesa fra Popolare di Lodi e gli olandesi di Abn Amro che avevano vinto grazie all’azione giudiziaria che fa cadere anche il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Mussari svolge le trattative nel silenzio con gli spagnoli (subentrati ad Abn) e si aggiudica con un blitz l’istituto veneto a un prezzo già all’epoca giudicato elevato: 10,3 miliardi contro i 6,6 pagati da Emilio Botin qualche mese prima. Operazione su cui si incentrano le indagini avviate nei mesi scorsi dalla Procura di Siena che manda la Gdf a perquisire la sede centrale.   

PADRE DELLA SUPERBANCA – Ma la crisi finanziaria non era ancora scoppiata e con Antonveneta il Monte ridiventa la terza banca del Paese, con 3.000 sportelli impiantandosi in una ricca area imprenditoriale. «Non abbiamo pagato un prezzo caro per Antonveneta», affermò all’epoca Mussari agli investitori nella conference call e anche l’attuale presidente del Monte Alessandro Profumo si complimenta con lui: «è stata una bella operazione». A Siena si parte con l’integrazione ma la crisi inizia a colpire forte e il Monte, nonostante un piano di ristrutturazione, ne risente i contraccolpi. Per questo, secondo le ricostruzioni della stampa, i vertici ricorrono ai derivati nel 2009, anno definito «difficile», per tirar su il risultato del bilancio. Una ennesima tegola che si aggiunge all’indagine sull’ampliamento dell’aeroporto di Ampugnano.   

LO SCANDALO DERIVATI – È così un caso del destino se è proprio lo stesso Profumo, suo grande sponsor per la nomina a presidente Abi nel 2010 (confermata nel giugno scorso), a subentrargli a inizio 2012 alla testa di Mps sulla pressione delle autorità di vigilanza e del mercato, con una Fondazione svenata dagli aumenti di capitale e oramai senza la maggioranza assoluta, e la banca che deve ricorrere ancora all’aiuto dello Stato per rispettare i requisiti di capitale imposti dall’Ue. E sono Profumo e l’ad Viola che passano al setaccio la precedente gestione, svalutando pesantemente Antonveneta e facendo emergere la vicenda derivati.   Per Mussari si apre quindi l’ennesima battaglia da combattere sotto l’ombra di un’azione di responsabilità da parte dello stesso Monte. E la prima immediata conseguenza è stata l’addio alla presidenza dell’Abi. 

Stritolato dalla morsa delle polemiche sugli anni della sua gestione, l’avvocato calabrese – ma senese d’adozione – ha deciso di fare un passo indietro dal vertice dell’Abi, consegnando nelle mani del vicepresidente vicario Camillo Venesio le sue dimissioni «irrevocabili».   

Il colpo di grazia è stato il derivato con nome in codice Alexandria e si va ad aggiungere a quello emerso la scorsa settimana (firmato con Deutsche Bank, denominato Santorini). Insieme queste esposizioni potrebbero costare adesso al Monte un buco nei conti del 2012 fino a 700 milioni che verrebbero tamponato con i soldi dello Stato, ovvero con i 3,9 miliardi di emissioni di Monti-bond. 

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