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ROMA – Nè studiano né lavorano: sono allarmanti i dati sui giovani calabresi, schiacciati dalla crisi. Uno su tre, in pratica, ha ultimato gli studi ma non ha ancora un impiego. È la fotografia allarmante scattata dall’Istat nel suo rapporto annuale in cui si evidenza il divario record tra tra il tasso di disoccupazione giovanile e quello totale. A livello nazionale, il divario tra il tasso di occupazione dei 18-29enni e quello della popolazione tra i 15 e i 64 anni, dopo essere rimasto stabile tra il 1993 e il 2002 si è andato progressivamente allargando fino a raggiungere nel 2011 i 15,9 punti percentuali con tassi di occupazione rispettivamente al 41 e al 56,9%. In sostanza la disoccupazione negli ultimi anni sta pesando di più sui giovani.

La distanza tra il tasso di disoccupazione giovanile e quello complessivo si è allargata a sfavore dei giovani tra il 1993 e il 1997 ed è tornata ad aumentare sensibilmente dopo un periodo di riduzione e di successiva stabilità, a partire dal 2008, per superare le due cifre nel 2009: 17,9% per i giovani e 7,8% per la popolazione complessiva. Lo scorso anno il divario ha raggiunto il livello più elevato con un tasso di disoccupazione dei 18-29enni pari al 20,2% a fronte dell’8,4% totale.

Ma è rispetto ai ‘Neet’, i giovani che non studiano e non lavorano, che spicca il dato calabrese: sono il 31,8% del totale dei giovani ben al di sopra della media nazionale che, a sua volta supera sensibilmente la media europea (22,1% nel 2010 contro il 15,3%). In particolare l’incidenza italiana è più alta rispetto agli altri grandi paesi europei come la Germania (10,7%), il Regno Unito e la Francia (14,6% entrambi) ed è simile invece a quella della Spagna che con il 20,4% si colloca al quint’ultimo posto dell’Unione europea. 

La quota di giovani ‘Neet’ è aumentata a seguito della crisi del 2008-2009 raggiungendo il livello più alto nel Mezzogiorno, 31,9%: quasi il doppio rispetto al centro-Nord. Campania e Sicilia sono le regioni con le quote più elevate, oltre il 35%, seguite da Calabria – che quindi è sul triste podio nazionale – e Puglia (rispettivamente 31,8% e 29,2%).

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