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Tra il 2009 e il 2011, nel pieno della crisi economica, le imprese calabresi hanno pagato un pegno che il Cerved stima pari a 13,9 fallimenti ogni diecimila attività. Il gruppo di analisi d’impresa e di valutazione del rischio di credito ha stilato il consueto rapporto sulla frequenza dei crack, basato sull’Insolvency ratio (Ir) dal quale si deduce appunto l’indice del numero di imprese chiuse ogni diecimila attive. Quello della Calabria non è il dato più pesante a livello nazionale – il record spetta alla Lombardia, che presenta un indice pari a 27 aziende ogni diecimila – ma preoccupa soprattutto alla luce dell’evoluzione del 2011 rispetto all’anno precedente. L’anno da poco concluso ha presentato infatti un incremento di fallimenti pari al 9,7% ben al di sopra della media nazionale, che si è attestata sul 7,4%.

E’ il Centronord del Paese, comunque, a presentare la situazione più inquietante. Lombardia e provincia di Milano più di tutti. Poi tutto il Nord Ovest. E la crisi, soprattutto dall’anno scorso, è arrivata anche in Campania e Lazio, dove l’esplosione di ‘crack’ aziendali nel 2011 è stata rispettivamente del 30% e del 23%.    Secondo dati del Cerved sono 17mila i crack di imprese del Nord, con l’area Occidentale (Lombardia e soprattutto Milano, poi Piemonte e Liguria) in chiara difficoltà, mentre “tiene” meglio il Nord Est, anche se il Veneto fatica. 

Ma se al Centro la media di fallimenti cresce al di sopra della media nazionale, anche il Sud è in affanno, sia pure con incidenza diversa. Dall’analisi della Penisola, appare infatti che un quarto delle chiusure sono di imprese meridionali (8.358), mentre il restante 75% si divide tra la fascia centrale (22%, con 7.284 fallimenti) e, appunto, il Nord.  Per quanto riguarda i settori d’impresa colpiti dalla crisi, quasi la metà dei 33mila fallimenti totali (oltre 15mila) ha riguardato realtà che operano nel terziario, il 23% aziende dell’edilizia (7.535), il 21% società manifatturiere (poco meno di 7mila). Ma, confrontando le procedure di chiusura col numero di imprese operative, è evidente che i crack hanno colpito con maggiore intensità l’industria (che accusa un Insolvency ratio nei tre anni di 38,7) e le costruzioni (28,5), rispetto ai servizi (Ir 16,9) e agli ‘altri settorì (9,1).  

 Nel 2011 in Italia – secondo quanto già emerso dagli studi Cerved – si è arrivati al massimo livello di fallimenti da quando è iniziata la crisi, a 12.094 “crack”, che è anche la quota più elevata da quando è stata riformata la disciplina del settore. Tra il 2009 e il 2011 per fallimento in Italia si sono persi 300mila posti di lavoro.

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