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Giuseppe Conte e Sergio Mattarella

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La crisi apre la via alle manovre tattiche: non c’è da stupirsi, è la politica. Naturalmente ciascuno presenta le sue come studiate nell’interesse preminente del paese e quelle degli avversari come ispirate dai più bassi calcoli di bottega: Anche qui, copioni di routine.

La novità relativa è constatare che la convinzione di Salvini di avere nelle sue mani il controllo del quadro politico era più infondata di quel che pensavano i suoi stessi detrattori. Nonostante un clima che sembrava favorire senza riserve il leader della Lega, la sua decisione di imporre al paese elezioni anticipate non è riuscita ad ottenere lo scopo: non almeno subito, come imporrebbe la narrazione salviniana. Ancora una volta, che i partiti che sembrerebbero destinati a soccombere si accingessero a vendere cara la pelle era scontato. Forse non al punto che si potesse ipotizzare una loro alleanza trasversale per far durare la legislatura.

A consentire che una svolta del genere sia possibile è stato il premier  con la sua decisione di parlamentarizzare la crisi. Se avesse semplicemente preso atto della comunicazione di Salvini che gli ritirava la fiducia e fosse salito al Colle a presentare le sue dimissioni, sarebbe iniziata una storia diversa (e forse questo sperava il vicepremier leghista).

La strada di chiedere la formalizzazione della sfiducia nell’aula del Senato apre la possibilità per diversi attori politici di manovrare per evitare quel confronto rapido con elezioni anticipate che, ciascuno per motivi diversi, teme. Ecco allora prendere corpo l’ipotesi che si possa andare ad un governo istituzionale sostenuto da accordi trasversali che in realtà, parliamoci chiaro, ha il solo scopo di evitare il confronto con le urne. 

Questo giornale ha sostenuto, sia per l’autorevole penna del suo direttore , sia, più modestamente, per la nostra, che un governo non politico di decantazione sarebbe un passaggio necessario per evitare al paese il trauma di una rincorsa dissennata al consenso popolare da ricercarsi col ricorso alle varie demagogie. Ma questo è qualcosa di diverso dalla promozione di un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare fatta di gente che vuol più che altro darsi il tempo per organizzare meglio le proprie truppe assediate da incerte fortune.

Se volete una prova di questo spirito, la si trova nelle proposte di chi, come Renzi, offre ai Cinque Stelle (ritornati grillini) l’offa dell’approvazione finale della riforma costituzionale col taglio di 345 parlamentari in cambio del loro sostegno, determinante visti i loro numeri alle Camere, al governo istituzionale: un’offerta che esponenti non secondari di M5S lasciano intendere di apprezzare. Invece non è con scambi di questo tipo, che ricalcano la tecnica di accordo del famoso “contratto” Salvini-Di Maio, che si metterà in piedi un governo che aiuti il paese a superare la difficile congiuntura che sta vivendo. Così si spianerà solo la strada per un successo decisivo della destra guidata da Salvini quando ci si dovrà arrendere ad andare alle elezioni anticipate.

L’accordo su un governo di tregua deve essere raggiunto attorno ad alcuni obiettivi molto chiari e con l’esplicita clausola di un orizzonte temporale certo per arrivare in condizioni di sicurezza e di responsabilità all’appuntamento con gli elettori. Questa clausola disarmerebbe la propaganda della destra, ma anche di altri, con la solita trita storiella degli “inciuci” per salvare le proprie poltrone. Darebbe inoltre un messaggio non equivoco al paese che c’è un “sistema”  ancora capace di ragionare nell’ottica dell’interesse generale.

Quali siano i tre obiettivi chiave l’ha già esplicitato il nostro direttore nel suo editoriale di ieri. Il primo è la messa in sicurezza dei conti pubblici. E’ quello su cui a parole è più facile raccogliere convergenze, anche se declinarlo non sarà poi facile: si tratta di misurarsi in maniera responsabile con le nostre difficoltà di bilancio, senza per questo cadere nelle retoriche tanto dei tagli risolutori quanto degli interventi miracolistici. E qui trovare poi l’accordo dei partiti sarà un’impresa ardua.

Il secondo obiettivo è salvaguardare la nostra presenza nel sistema politico della UE. Di questo si parla poco, al più per ventilare che si potrebbe pensare per il nostro Commissario ad un “tecnico” anziché ad un “politico” (leghista). Invece la questione chiave è mandare a Bruxelles un personaggio di grande caratura al tempo stesso tecnica e politica: altrimenti non si otterranno presenze di peso. Ovviamente sostenuto dal riferimento a Roma ad un governo altrettanto credibile ed affidabile.

Il terzo obiettivo, difficile, ma essenziale, è avviare a fondo quella “operazione verità” invocata ieri dal nostro direttore. Essa riguarda la conoscenza approfondita di come è funzionato il regionalismo rabberciato che ci ha lasciato in eredità un decennio di para-federalismo tutto ideologico. Non si tratta di decidere a priori su quanto dare al Nord e quanto al Sud, su chi ha speso bene o male in passato, ma di mettere insieme un quadro il più oggettivo possibile di come si sono distribuite le risorse, e anche, anzi soprattutto, di come si dovrebbero distribuire per promuovere un paese in cui i diritti di cittadinanza fossero egualmente garantiti su tutto il territorio.

Essendo il governo un governo di transizione a termine dovrà fare solo una approfondita indagine conoscitiva mettendo a disposizione dei cittadini i dati per valutare in autonomia quali forze politiche presenteranno alle elezioni ricette credibili e quali ammanniranno loro fantasie pesudo-ideologiche.

Un governo che riuscisse davvero a portare al centro della vita politica italiana quegli obiettivi e quelle consapevolezze metterebbe il nostro popolo in grado di esercitare davvero la sua sovranità.


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